HIKIKOMORI | RESIDENZA “B” ATUTTOTONDO DANZA 11/15 luglio ’22
HIKIKOMORI (un solo per 4): Hunt cdc indaga il fenomeno sociale che coinvolge adulti e ragazzi
Abbiamo incontrato Hunt cdc, la compagnia di danza contemporanea che con il progetto Hikikomori (un solo per 4) si è aggiudicata una delle quattro settimane di residenza del progetto ATUTTOTONDODANZA 2022.
Seconda edizione, questa, per il progetto che sostiene e supporta con un programma di residenze e tutoraggio giovani coreografi e nuove compagnie nella fase di realizzazione di nuovi lavori coreografici. Il capofila del progetto è Padova Danza, in collaborazione con La Sfera Danza Festival Internazionale di Danza e con il patrocinio e il contributo del Comune di Vigonza, che mette a disposizione i preziosi spazi del Teatro Quirino De Giorgio.
Hunt cdc (dove cdc sta per compagnia danza contemporanea) nasce nel 2012 in territorio marchigiano. La sede operativa della compagnia si trova da sempre a Montecosaro, che è anche il comune che ospita il festival Alloggiando Art Fest, organizzato e gestito dalla stessa compagnia. Nel 2019 Hunt decide di darsi una nuova veste e un nuovo assetto, e si costituisce come associazione culturale.
Giosy Sampaolo, colei che ha fondato la compagna dieci anni fa, ci racconta che questo passaggio è nato dalla consapevolezza che “da soli non si può fare tutto”, e dal desiderio di crescere non solo come collettivo artistico ma anche come vera e propria compagnia professionista.
“Trovare le persone giuste con cui condividere questo progetto non è stato facile – ricorda Goisy – a volte si trovano le persone giuste, ma poi la vita ti porta altrove…”
Oggi Hunt è un progetto condiviso che ha trovato terreno fertile nelle Marche, dove la compagnia è nata e dove lavora stabilmente. Attualmente sono tre gli spettacoli in distribuzione: “If not now, never”, “Hikikomori (un solo per 4)” e “Fitting”, a cui si affiancano i progetti paralleli di Zest!Contemporary Dance Program dedicato al training di professionisti della danza, e il festival Alloggiando.
“La nostra regionalità, il nostro lavorare sul territorio – continua Goisy – è stata a una scelta voluta e anche il nostro punto di forza, che ci ha permesso di arrivare fino a qui, a Vigonza!”
Oltre a danzare, ognuno di loro, in base alle proprie competenze, ha un ulteriore ruolo all’interno della compagnia: Elisa Ricagni si occupa dell’organizzazione, Leonardo Carletti della comunicazione, Giorgia Perugini mette a frutto la sua laurea in scenografia e Giosy Sampaolo si occupa della direzione artistica.
“Dopo aver capito che l’unione fa la forza ci siamo distribuiti i ruoli e ognuno ha il suo compito all’interno della compagnia, anche se, prima di ogni decisione, che sia artistica, organizzativa o tecnica, c’è sempre un confronto: viene messo tutto sul tavolo e insieme tiriamo le somme.”
Ora entriamo nel vivo di “Hikikomori (un solo per 4)” progetto finalista al Premio Theodor Rawyler – Festival Tendance, con il quale la compagnia si è aggiudicata la settimana di residenza B, dall’11 al 15 luglio, del progetto “ A tutto tondo danza” – Residenze Creative per Artisti, seconda edizione.
Hikikomori è un termine giapponese che significa letteralmente “stare in disparte”, e viene utilizzato per riferirsi a chi decide di isolarsi dalla vita sociale per periodi molto lunghi, che possono essere mesi e anche anni, richiudendosi nella propria stanza o abitazione, e interrompendo qualsiasi forma di contatto con la società esterna: scuola, lavoro, amicizie e anche con i propri familiari.
Una forma di autoisolamento di cui abbiamo iniziato a conoscere l’esistenza anche nel nostro Paese – o forse solamente a dargli un nome – durante la pandemia e le fasi di lockdown; un disagio sociale che i fatti di cronaca hanno attribuito per lo più agli adolescenti ma a cui nemmeno il mondo adulto è immune.
Ed è proprio durante il primo lockdown che Leonardo Carletti si è avvicinato e ha sviluppato un interesse per questo fenomeno, mosso anche da un’innata passione per il mondo nipponico e la sua ritualità. Un interesse che, come vuole il modus operandi della compagnia, ha poi condiviso e sviluppato con il resto del gruppo, non appena la vita “normale” ha ripreso seppure lentamente e a intermittenza a scorrere nuovamente.
Leonardo: “L’idea è nata inizialmente con un altro progetto che si chiamava Boringroom (stanza noisosa, ndr), un solo che non è mai andato in scena, e che indagava quello che succede nella propria camera quando i giorni liberi diventano tanti giorni liberi uno dietro l’altro. All’inizio sei contento, dici che bello, ho il giorno libero non faccio niente! Poi però quando iniziano ad essere tanti, uno dietro l’altro, la faccenda diventa problematica. Da qui ho iniziato a interessarmi al fenomeno dell’Hikikomori, che è la manifestazione di un disagio nei confronti della società. Durante la pandemia sembravamo tutti degli hikikomori ma in realtà non è così, perché l’hikikomori sceglie di chiudersi in camera per molto tempo, mente noi eravamo costretti a stare in casa per una questione di necessità! A tutto questo si è aggiunta la mia passione per il Giappone dove sono stato per un breve periodo, ed è un universo che mi piace molto.”
La coreografia è intrisa di significati e di un’atmosfera che attinge a piene mani dalla tradizione cinese e giapponese e che viene portata quasi all’esasperazione in un crescendo continuo. La camminata, il movimento delle mani, l’inclinazione della testa, e i continui inchini ricordano la cerimoniosa gestualità orientale, che ha un proprio significato ed è un mezzo di comunicazione che prescinde dall’uso della parola. Anche la scenografia che traccia a terra un ennagono, una griglia di nove lati (numero profetico di sofferenza in Giappone), ed è percorsa dai danzatori con sequenza matematica, alimenta lo stesso gioco. C’è attenzione anche alla numerologia orientale e ai suoi significati e richiami: in scena ci sono quattro danzatori (altro numero profetico di sfortuna e morte), e il lavoro è a sua volta suddiviso in quattro quadri, come del resto quattro sono le fasi che portano all’Hikikomori.
Come è avvenuto il passaggio dall’idea che si rifà a un’argomento particolare e importante dal punto di vista sociale, psicologico, ed emotivo alla messa in scena? Qual è stato il processo artistico di Hikikomori (un solo per 4)?
Elisa: “Dopo la proposta di Leo, abbiamo iniziato una ricerca approfondita, ci siamo documentati perché è un tema complessissimo. Ci siamo affidati alla lettura di Hikikomori di Marco Crepaldi che è il fondatore dell’associazione Hikikomori Italia. E anche per noi è stata una rivelazione entrare dentro il processo che porta un individuo a diventare hikikomori. Ci sono dei fattori scatenanti che appartengono a tutti, e in cui anche noi ci siamo ritrovati, come il senso di pressione e oppressione della società, il continuo senso di inadeguatezza… Abbiamo scelto la linea di raccontare che cosa succede all’individuo prima di diventare Hikikomori, il perché. Durante la pandemia abbiamo sentito parlare di questo fenomeno per lo più associato al mondo adolescenziale ma in realtà è una problematica che tocca anche l’adulto, e sicuramente riguarda tutte o la maggior parte delle società capitalistiche.”
Giosy: “Quel senso di inadeguatezza io l’ho percepito durante il lockdown. Noi danzatori, le maestranze, il teatro, siamo rimasti otto mesi senza lavorare. La società ci diceva che non potevamo lavorare, che dovevamo restare a casa!”
Leonardo: “Che non c’era bisogno di noi!”
Giosy: “Tantissimi di noi hanno cambiato lavoro, molti nostri colleghi si sono dati all’agricoltura. E questo è un indicatore sociale. Come diceva Leo, noi non eravamo costretti, mentre l’hikikomori sceglie di isolarsi, e nell’isolamento trova la sua dimensione e forse anche la sua catarsi. L’isolamento come unica soluzione possibile per non subire il disagio. Ecco in questo non mi riconosco, ma riconosco i fattori che portano a questo.”
Per questo motivo nella presentazione del progetto dichiarate che Hikikomori (un solo per 4) è in modo assoluto un’assunzione di rischio culturale?
Elisa: “Questo è un fenomeno che si sviluppa nelle società ricche. La società ci dice che per essere un buon uomo devi raggiungere un certo status economico e se non ce la fai sei un fallito. Io ho due figli che vanno a scuola e ti assicuro che si inizia dalla prima elementare a istillare questo processo: la scuola è competizione, devi prendere il voto migliore, devi essere il più bravo della classe. Noi cresciamo con questo sistema, esiste solo lavorare, guadagnare, spendere. Ora sto semplificando ma è questa la società in cui viviamo. E quando un individuo non riesce più a stare dentro a questo sistema che fa? Con questo lavoro noi non offriamo soluzioni ma vogliamo dare un’occasione di riflessione condivisa.”
Come avete sfruttato l’occasione di questa settimana di residenza al Teatro Quirino De Giorgio di Vigonza?
Giosy: “Per noi questa residenza è stata importantissima! Siamo stati veramente contenti di avere avuto questa possibilità.”
Elisa: “Ci ha permesso di lavorare sui dettagli, sulle transizioni…”
Giosy: “Siamo arrivati qui con tre quarti del lavoro già montato e abbiamo avuto la possibilità di portarlo a conclusione. La fine è sempre la parte più complicata, in cui tiri le somme di tutto. Ci avevamo girato attorno più volte, e non eravamo mai soddisfatti; qui, durante la residenza, abbiamo raggiunto questo obiettivo! Per noi è stato importante anche la presenza dei tutor. Abbiamo incontrato Nicoletta Cabassi, Alessia Prati, drammaturga, che è stata preziosissima per noi. Ha visto il lavoro nella sua versione intera, e il suo sguardo ci ha aiutato tanto. Personalmente ritengo che la scelta che fa Padova Danza di aver qualcuno presente come tutor o come osservatore aiuta tanto il lavoro degli artisti. Per noi, e per questo lavoro in cui siamo tutti e quattro in scena, è fondamentale avere uno sguardo esterno perché ci allena ad avere una concentrazione maggiore.”
La settimana di residenza prevede, oltre alla restituzione finale, anche un’incursione al mercato nel Borgo storico. Com’è andata?
Leonardo: “Beh, nessuno ci ha tirato i sassi!”
Elisa: “E’ andate bene. In queste situazioni all’aperto c’è sempre chi è molto curioso e chi invece continua a fare la spesa. Sei tu che invadi il loro spazio, e devi accettare che può accadere di tutto e che la reazione possa essere molto diversa. Noi lo sappiamo e lo accettiamo!”
Come raccontavate prima, il vostro scopo con questo lavoro non è tanto trovare della soluzioni, ma proporre delle riflessioni, e suscitare delle domande nello spettatore. Quali domande ha suscitato in voi questa tematica?
Elisa: “Abbiamo presentato il lavoro in fase di studio già tre volte, e quello che ci piace è che il pubblico viene a dirci che ha capito, che si è ritrovato, che si riconosce in quel disagio, e questo è quasi catartico perché ti fa sentire che non sei l’unico. La mia domanda è: se tutti ci sentiamo cosi, dove vogliamo andare? Che futuro vogliamo portare? Perché siamo tutti artefici e partecipi della società! e dato che questa società non ci piace cosa vogliamo fare?”
Giosy: “La domanda di partenza per me potrebbe essere qual è la mia priorità? Ritornando al discorso che facevamo prima, non ho la pretesa che la danza sia fondamentale per la vita delle persone, in una situazione come quella che abbiamo vissuto è logico che i supermercati dovevano restare aperti! Nel momento in cui però non è più una cosa generale ma diventa di settore, io dico che la salute è una priorità per ognuno di noi, ma anche il nostro lavoro è importante! E va riconosciuto.”
Elisa: “Se la cultura per lo stato è superflua, che cos’è importate? Se la cultura non è importante, lo svago non è importante, se solo il consumo è importante allora capisco l’hikikomori che non vuole stare in questa società e sceglie di isolarsi.”
L’ultima domanda è proprio sul futuro… qual è il prossimo futuro di questo progetto?
Elisa: “Faremo un’anteprima al Kum! Festival di Ancona, un festival di psicologia di cui Massimo Recalcati è il direttore scientifico. Data la tematica, l’Assessorato alla Cultura lo ha proposto, e il Kum! ha accolto la proposta, ne siamo molto felici!”
Giosy: “E poi speriamo di avere tante date e fare tante repliche!”
INTERVISTA A CURA DI RITA BORGA