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“Rigoletto” con Padova Danza Project

COME VERDE ongoing | RESIDENZA “C” ATUTTOTONDO DANZA 18/22 luglio ’22

Residenza C | Vigonza, 22 luglio 2022

COME VERDE ongoing: un percorso interattivo per riaccendere la relazione con la natura

Ha i colori della natura il progetto “COME VERDE ongoing” ospite della terza residenza per artisti di ATUTTOTONDODANZA 2022, promosso e organizzato da Padova Danza in collaborazione con La Sfera Danza Festival Internazionale di Danza.

Verde come il colore dei prati, delle foglie sugli alberi e di quel “terzo paesaggio” – caro a Gilles Clément- che fiorisce nei luoghi più inconsueti delle città; quel “giardino in movimento” che fa capolino tra l’asfalto, dando vita a una piccola oasi verde anche davanti all’entrata del Teatro Quirino San Giorgio, che il Comune di Vigonza -partner del progetto- ha messo a disposizione degli artisti. Una piccola “area di sosta” dai colori pallidi della città, da cui Isabel Paladin, Desi Bonato e Giovanna Pesce Dalla Francesca hanno tratto ispirazione per dare letteralmente inizio al loro progetto coreografico.

Ho incontrato le tre performer mentre disegnavano a terra sull’asfalto, con dei gessi colorati, delle lunghe linee ondulate che, intrecciandosi come le radici di un albero, tracciavano a terra dei percorsi da seguire per raggiungere la prima stazione di questo lavoro: la piccola oasi verde che fiorisce davanti al Teatro. Il lavoro si compone poi di altre due stazioni: una nel giardino retrostante il teatro dove si materializza l’albero di cui le radici disegnate a terra erano un ricordo, e l’ultima dentro il teatro, trait d’union tra l’atto artistico e il movimento invisibile ma inesorabile della natura viva, che le performer ripropongono sul palco con il movimento e l’intreccio dei loro corpi.

COME VERDE ongoing è la prima creazione di questo gruppo tutto veneto -Isabel e Giovanna arrivano da Treviso e Desi da Padova; il progetto coreografico ha mosso qui i primi passi, sposando appieno le linea artistica che il progetto “ATUTTOTONDODANZA” si propone: sostenere giovani coreografi e coreografe e nuove compagnie, mettendo a disposizione una settimana di residenza e il supporto di un gruppo di tutor competenti nella fase di realizzazione di nuovi lavori coreografici.

Questa prima collaborazione a tre nasce però da una conoscenza pregressa: Isabel e Giovanna avevano già avuto modo di lavorare insieme in altri progetti di video-danza. Mentre la conoscenza tra Isabel e Desi risale ai tempi dell’università, quando tutte e due studiavano arti performative in Olanda; entrambe arrivano infatti dal mondo della danza e della performance, e spetta a loro la parte più fisica e dinamica del lavoro. Giovanna invece si è formata nell’ambito della regia di cortometraggi dedicati alla danza, e oltre a curare il montaggio del video utilizzato durante la performance si è messa in gioco fisicamente assumendo il ruolo di guida trainate del pubblico lungo il percorso interattivo su cui si basa il lavoro. A detta delle sue colleghe, Giovanna è anche l’outside eye del progetto, ovvero l’occhio osservatore esterno in grado di dare i feedback, di riferire il percepito su ogni fase di cui si compone il lavoro: dalla pratica fisica alla scelta dei costumi di scena.

L’idea iniziale di COME VERDE ongoing è nata durante il lockdown, quando “bloccata in casa, mi trovavo semplicemente a cercare lo spazio del giardino, un po’ di aria fresca -racconta Isabel. E risponde anche al mio desiderio di accomunare il percorso di studi che ho intrapreso -studio erboristeria, scienze farmaceutiche applicate- a un processo artistico nell’ambito della danza.”

Nell’idea iniziale è confluito il background artistico di tutte e tre le performer, e il desiderio di realizzare qualcosa che potesse essere per lo spettatore un’esperienza da vivere in prima persona, in grado di risvegliare la sua attenzione e connessione verso la natura circostante, e rinvenire ciò che nel mondo vegetale è al contempo invisibile e fondamentale. Grazie alla reazione spontanea del pubblico alle pratiche proposte dalle performer, il lavoro acquisisce una sorta di imprevedibilità, e può mutare ed evolversi ad ogni evento. Ma questa specificità camaleontica è data anche dal carattere site-specific del progetto, che si modella a seconda della struttura ospitante.

“Questo è un elemento importante del nostro progetto -interviene Desi. La struttura stessa in cui ci troviamo ci ha dato un’ispirazione di un certo tipo. Abbiamo utilizzato sia la parte esterna che quella interna più canonica del teatro e del palco, rompendo però la regola classica che vuole lo spettatore seduto a guardare lo spettacolo in modo passivo. Vogliamo invece che gli spettatori si possano incontrare tra di loro, che ci possa essere una connessione di altro genere. La performance parla del movimento impercettibile della natura, e vogliamo che anche gli spettatori sperimentino il movimento, anche se con una semplice camminata. Vogliamo trovare il modo di rendere la performance più interattiva possibile con la natura circostante, ma in modo semplice e intuitivo, senza mettere in difficoltà nessuno. Questo è un focus importante che ricerchiamo.”

“La pratica della camminata -prosegue Isabel- è il punto di partenza di questo progetto, e arriva da un altro processo creativo fatto con Base 9, un altro collettivo di cui faccio parte. La camminata performativa sensoriale è una delle pratiche che utilizziamo per coinvolgere le persone, per farle interagire con le tempistiche naturali, rallentare i tempi, e avvicinarsi al tempo della natura.

Quello che facciamo qui fuori, dal teatro, è proprio cercare queste radici e accomunare quelli che sono i passi umani al movimento delle radici dell’albero, cercando di stabilire una relazione, che in realtà è molto semplice.”

“L’idea di base era ricreare delle radici -riprende la parola Desi- e poi capire in base al luogo come poterla sviluppare. Le pratiche fisiche che proponiamo possono essere riprodotte in qualsiasi luogo, utilizzando gli elementi che lo spazio mette a disposizione. La pratica che facciamo qui davanti al teatro è nata proprio perché quel cerchio verde che si vede in mezzo alla piazza, ci dava l’idea che un tempo ci fosse stato un albero in quel posto: ecco perché abbiamo deciso di iniziare da lì e di proporre quel tipo di pratica. In questo senso il lavoro è site-specific. Ogni elemento può essere integrato in quello che facciamo, anche se è un elemento disturbante; non facciamo finta che non esista ma lo integriamo nella pratica. Per esempio un elemento particolare di questo luogo è la porta che dal giardino retrostante porta direttamente sul palco del teatro: da lì faremo passare il pubblico che si fermerà sul palco insieme a noi, dove creeremo una connessione fra teatro, corpi e natura.”

“Io invece sarò la guida trainante del pubblico -racconta Giovanna- camminerò lentamente, in slow-motion; avrò un tempo costante, scandendo il tempo lento e inesorabile della natura. Vorremmo che a un certo punto il pubblico si dimenticasse della mia presenza, per poi tornare in luce alla fine, e chiudere il cerchio della pratica.”

Oltre alla restituzione finale del lavoro, la settimana di residenza prevede anche un’incursione mattutina nel mercato rionale nella piazzetta antistante il teatro. Una scelta voluta per creare un punto di contatto, un principio di relazione tra i cittadini e le varie attività artistiche, e dare al contempo la possibilità ai performer di mettersi alla prova in un contesto inusuale.
“Faceva un caldo terribile! -racconta Isabel- ma il mercato è proprio qui davanti al teatro, e credo che sia un bel modo di stabilire una relazione tra quello che succede dentro e fuori dal teatro. Ci hanno persino dato l’uva, ci hanno lavato le mani, è stato bello, si è creata una relazione!”
“Non mi ricordo con chi ne parlavamo -aggiunge Desi- ma il pubblico in Italia è molto a digiuno di performance di danza contemporanea, e la nostra performance ha l’intento di rendere l’approccio più digeribile, come dire palpabile… Al mercato abbiamo riprodotto quello che faremo nella restituzione finale, però in mezzo alle bancarelle, per noi ci stava proprio bene!”

“Per me è stato interessante -continua Giovanna- nella mia camminata in slow-motion la mia partecipazione è attiva, soprattutto nell’incontrare lo sguardo delle persone. Al mercato, in mezzo alle bancarelle, ho cercato di mantenere lo sguardo fisso, ed è stato interessante vedere la reazione delle persone che inizialmente non capivano perché le guardavo così, poi accorgendosi che si trattava di una performance mi sorridevano. C’è anche chi mi ha parlato rompendo la barriera tra performer e spettatore, e chi si è girato dall’altra parte perché non sapeva come interagire! Uno di loro dietro il banco mi ha chiesto se volevo qualcosa, io gli ho sorriso…”

“La residenza è andata bene ed è stata utile -conclude Desi- abbiamo avuto un bello spazio a nostra disposizione, è andato tutto per il meglio. Sono state di grande aiuto le tutor come Alessia Prati e Nicoletta Cabassi, entrambe ci hanno dato dei feedback utili e ci hanno seguite bene, siamo grate che ci sia stato quest’occhio esterno competente. Il progetto ha mosso qui i primi passi… il lavoro non ha un vero e proprio inizio e una fine, perché non è lineare ma circolare. In questa settimana abbiamo sviluppato una serie di pratiche che si possono combinare tra loro in modo diverso, sono pratiche che sperano di metterti in relazione con la natura, e che speriamo di poter continuare a sviluppare anche nel prossimo futuro. Se qualcuno vuole il nostro lavoro, eccoci, noi siamo qui, pronte!”

REPORT A CURA DI RITA BORGA

HIKIKOMORI | RESIDENZA “B” ATUTTOTONDO DANZA 11/15 luglio ’22

RESIDENZA B | Vigonza, 15 Luglio 2022

HIKIKOMORI (un solo per 4): Hunt cdc indaga il fenomeno sociale che coinvolge adulti e ragazzi

Abbiamo incontrato Hunt cdc, la compagnia di danza contemporanea che con il progetto Hikikomori (un solo per 4) si è aggiudicata una delle quattro settimane di residenza del progetto ATUTTOTONDODANZA 2022.

Seconda edizione, questa, per il progetto che sostiene e supporta con un programma di residenze e tutoraggio giovani coreografi e nuove compagnie nella fase di realizzazione di nuovi lavori coreografici. Il capofila del progetto è Padova Danza, in collaborazione con La Sfera Danza Festival Internazionale di Danza e con il patrocinio e il contributo del Comune di Vigonza, che mette a disposizione i preziosi spazi del Teatro Quirino De Giorgio.

Hunt cdc (dove cdc sta per compagnia danza contemporanea) nasce nel 2012 in territorio marchigiano. La sede operativa della compagnia si trova da sempre a Montecosaro, che è anche il comune che ospita il festival Alloggiando Art Fest, organizzato e gestito dalla stessa compagnia. Nel 2019 Hunt decide di darsi una nuova veste e un nuovo assetto, e si costituisce come associazione culturale.
Giosy Sampaolo, colei che ha fondato la compagna dieci anni fa, ci racconta che questo passaggio è nato dalla consapevolezza che “da soli non si può fare tutto”, e dal desiderio di crescere non solo come collettivo artistico ma anche come vera e propria compagnia professionista.
“Trovare le persone giuste con cui condividere questo progetto non è stato facile – ricorda Goisy – a volte si trovano le persone giuste, ma poi la vita ti porta altrove…”
Oggi Hunt è un progetto condiviso che ha trovato terreno fertile nelle Marche, dove la compagnia è nata e dove lavora stabilmente. Attualmente sono tre gli spettacoli in distribuzione: “If not now, never”, “Hikikomori (un solo per 4)” e “Fitting”, a cui si affiancano i progetti paralleli di Zest!Contemporary Dance Program dedicato al training di professionisti della danza, e il festival Alloggiando.

“La nostra regionalità, il nostro lavorare sul territorio – continua Goisy – è stata a una scelta voluta e anche il nostro punto di forza, che ci ha permesso di arrivare fino a qui, a Vigonza!”

Oltre a danzare, ognuno di loro, in base alle proprie competenze, ha un ulteriore ruolo all’interno della compagnia: Elisa Ricagni si occupa dell’organizzazione, Leonardo Carletti della comunicazione, Giorgia Perugini mette a frutto la sua laurea in scenografia e Giosy Sampaolo si occupa della direzione artistica.

 “Dopo aver capito che l’unione fa la forza ci siamo distribuiti i ruoli e ognuno ha il suo compito all’interno della compagnia, anche se, prima di ogni decisione, che sia artistica, organizzativa o tecnica, c’è sempre un confronto: viene messo tutto sul tavolo e insieme tiriamo le somme.”

Ora entriamo nel vivo di “Hikikomori (un solo per 4)” progetto finalista al Premio Theodor Rawyler – Festival Tendance, con il quale la compagnia si è aggiudicata la settimana di residenza B, dall’11 al 15 luglio, del progetto “ A tutto tondo danza” – Residenze Creative per Artisti, seconda edizione.

Hikikomori è un termine giapponese che significa letteralmente “stare in disparte”, e viene utilizzato per riferirsi a chi decide di isolarsi dalla vita sociale per periodi molto lunghi, che possono essere mesi e anche anni, richiudendosi nella propria stanza o abitazione, e interrompendo qualsiasi forma di contatto con la società esterna: scuola, lavoro, amicizie e anche con i propri familiari.
Una forma di autoisolamento di cui abbiamo iniziato a conoscere l’esistenza anche nel nostro Paese – o forse solamente a dargli un nome – durante la pandemia e le fasi di lockdown; un disagio sociale che i fatti di cronaca hanno attribuito per lo più agli adolescenti ma a cui nemmeno il mondo adulto è immune.
Ed è proprio durante il primo lockdown che Leonardo Carletti si è avvicinato e ha sviluppato un interesse per questo fenomeno, mosso anche da un’innata passione per il mondo nipponico e la sua ritualità. Un interesse che, come vuole il modus operandi della compagnia, ha poi condiviso e sviluppato con il resto del gruppo, non appena la vita “normale” ha ripreso seppure lentamente e a intermittenza a scorrere nuovamente.

Leonardo: “L’idea è nata inizialmente con un altro progetto che si chiamava Boringroom (stanza noisosa, ndr), un solo che non è mai andato in scena, e che indagava quello che succede nella propria camera quando i giorni liberi diventano tanti giorni liberi uno dietro l’altro. All’inizio sei contento, dici che bello, ho il giorno libero non faccio niente! Poi però quando iniziano ad essere tanti, uno dietro l’altro, la faccenda diventa problematica. Da qui ho iniziato a interessarmi al fenomeno dell’Hikikomori, che è la manifestazione di un disagio nei confronti della società. Durante la pandemia sembravamo tutti degli hikikomori ma in realtà non è così, perché l’hikikomori sceglie di chiudersi in camera per molto tempo, mente noi eravamo costretti a stare in casa per una questione di necessità! A tutto questo si è aggiunta la mia passione per il Giappone dove sono stato per un breve periodo, ed è un universo che mi piace molto.”

La coreografia è intrisa di significati e di un’atmosfera che attinge a piene mani dalla tradizione cinese e giapponese e che viene portata quasi all’esasperazione in un crescendo continuo. La camminata, il movimento delle mani, l’inclinazione della testa, e i continui inchini ricordano la cerimoniosa gestualità orientale, che ha un proprio significato ed è un mezzo di comunicazione che prescinde dall’uso della parola. Anche la scenografia che traccia a terra un ennagono, una griglia di nove lati (numero profetico di sofferenza in Giappone), ed è percorsa dai danzatori con sequenza matematica, alimenta lo stesso gioco. C’è attenzione anche alla numerologia orientale e ai suoi significati e richiami: in scena ci sono quattro danzatori (altro numero profetico di sfortuna e morte), e il lavoro è a sua volta suddiviso in quattro quadri, come del resto quattro sono le fasi che portano all’Hikikomori.

Come è avvenuto il passaggio dall’idea che si rifà a un’argomento particolare e importante dal punto di vista sociale, psicologico, ed emotivo alla messa in scena? Qual è stato il processo artistico di Hikikomori (un solo per 4)?

Elisa: “Dopo la proposta di Leo, abbiamo iniziato una ricerca approfondita, ci siamo documentati perché è un tema complessissimo. Ci siamo affidati alla lettura di Hikikomori di Marco Crepaldi che è il fondatore dell’associazione Hikikomori Italia. E anche per noi è stata una rivelazione entrare dentro il processo che porta un individuo a diventare hikikomori. Ci sono dei fattori scatenanti che appartengono a tutti, e in cui anche noi ci siamo ritrovati, come il senso di pressione e oppressione della società, il continuo senso di inadeguatezza… Abbiamo scelto la linea di raccontare che cosa succede all’individuo prima di diventare Hikikomori, il perché. Durante la pandemia abbiamo sentito parlare di questo fenomeno per lo più associato al mondo adolescenziale ma in realtà è una problematica che tocca anche l’adulto, e sicuramente riguarda tutte o la maggior parte delle società capitalistiche.”

Giosy: “Quel senso di inadeguatezza io l’ho percepito durante il lockdown. Noi danzatori, le maestranze, il teatro, siamo rimasti otto mesi senza lavorare. La società ci diceva che non potevamo lavorare, che dovevamo restare a casa!”

Leonardo: “Che non c’era bisogno di noi!”

Giosy: “Tantissimi di noi hanno cambiato lavoro, molti nostri colleghi si sono dati all’agricoltura. E questo è un indicatore sociale. Come diceva Leo, noi non eravamo costretti, mentre l’hikikomori sceglie di isolarsi, e nell’isolamento trova la sua dimensione e forse anche la sua catarsi. L’isolamento come unica soluzione possibile per non subire il disagio. Ecco in questo non mi riconosco, ma riconosco i fattori che portano a questo.”

Per questo motivo nella presentazione del progetto dichiarate che Hikikomori (un solo per 4) è in modo assoluto un’assunzione di rischio culturale?

Elisa: “Questo è un fenomeno che si sviluppa nelle società ricche. La società ci dice che per essere un buon uomo devi raggiungere un certo status economico e se non ce la fai sei un fallito. Io ho due figli che vanno a scuola e ti assicuro che si inizia dalla prima elementare a istillare questo processo: la scuola è competizione, devi prendere il voto migliore, devi essere il più bravo della classe. Noi cresciamo con questo sistema, esiste solo lavorare, guadagnare, spendere. Ora sto semplificando ma è questa la società in cui viviamo. E quando un individuo non riesce più a stare dentro a questo sistema che fa? Con questo lavoro noi non offriamo soluzioni ma vogliamo dare un’occasione di riflessione condivisa.”

Come avete sfruttato l’occasione di questa settimana di residenza al Teatro Quirino De Giorgio di Vigonza?

Giosy: “Per noi questa residenza è stata importantissima! Siamo stati veramente contenti di avere avuto questa possibilità.”

Elisa: “Ci ha permesso di lavorare sui dettagli, sulle transizioni…”

Giosy: “Siamo arrivati qui con tre quarti del lavoro già montato e abbiamo avuto la possibilità di portarlo a conclusione. La fine è sempre la parte più complicata, in cui tiri le somme di tutto. Ci avevamo girato attorno più volte, e non eravamo mai soddisfatti; qui, durante la residenza, abbiamo raggiunto questo obiettivo! Per noi è stato importante anche la presenza dei tutor. Abbiamo incontrato Nicoletta Cabassi, Alessia Prati, drammaturga, che è stata preziosissima per noi. Ha visto il lavoro nella sua versione intera, e il suo sguardo ci ha aiutato tanto. Personalmente ritengo che la scelta che fa Padova Danza di aver qualcuno presente come tutor o come osservatore aiuta tanto il lavoro degli artisti. Per noi, e per questo lavoro in cui siamo tutti e quattro in scena, è fondamentale avere uno sguardo esterno perché ci allena ad avere una concentrazione maggiore.”

La settimana di residenza prevede, oltre alla restituzione finale, anche un’incursione al mercato nel Borgo storico. Com’è andata?

Leonardo: “Beh, nessuno ci ha tirato i sassi!”

Elisa: “E’ andate bene. In queste situazioni all’aperto c’è sempre chi è molto curioso e chi invece continua a fare la spesa. Sei tu che invadi il loro spazio, e devi accettare che può accadere di tutto e che la reazione possa essere molto diversa. Noi lo sappiamo e lo accettiamo!”

Come raccontavate prima, il vostro scopo con questo lavoro non è tanto trovare della soluzioni, ma proporre delle riflessioni, e suscitare delle domande nello spettatore. Quali domande ha suscitato in voi questa tematica?

Elisa: “Abbiamo presentato il lavoro in fase di studio già tre volte, e quello che ci piace è che il pubblico viene a dirci che ha capito, che si è ritrovato, che si riconosce in quel disagio, e questo è quasi catartico perché ti fa sentire che non sei l’unico. La mia domanda è: se tutti ci sentiamo cosi, dove vogliamo andare? Che futuro vogliamo portare? Perché siamo tutti artefici e partecipi della società! e dato che questa società non ci piace cosa vogliamo fare?”

Giosy: “La domanda di partenza per me potrebbe essere qual è la mia priorità? Ritornando al discorso che facevamo prima, non ho la pretesa che la danza sia fondamentale per la vita delle persone, in una situazione come quella che abbiamo vissuto è logico che i supermercati dovevano restare aperti! Nel momento in cui però non è più una cosa generale ma diventa di settore, io dico che la salute è una priorità per ognuno di noi, ma anche il nostro lavoro è importante! E va riconosciuto.”

Elisa: “Se la cultura per lo stato è superflua, che cos’è importate? Se la cultura non è importante, lo svago non è importante, se solo il consumo è importante allora capisco l’hikikomori che non vuole stare in questa società e sceglie di isolarsi.”

L’ultima domanda è proprio sul futuro… qual è il prossimo futuro di questo progetto?

Elisa: “Faremo un’anteprima al Kum! Festival di Ancona, un festival di psicologia di cui Massimo Recalcati è il direttore scientifico. Data la tematica, l’Assessorato alla Cultura lo ha proposto, e il  Kum! ha accolto la proposta, ne siamo molto felici!”

Giosy: “E poi speriamo di avere tante date e fare tante repliche!”

INTERVISTA A CURA DI RITA BORGA

Padova Danza Project ospite alla rassegna VAPORE D’ESTATE di Milano | 20 Luglio 2022

Mercoledì 20 LUGLIO ore 21.00

FABBRICA DEL VAPORE
(Via Procaccini, 4 | Milano)

I danzatori di Padova Danza Project ospiti della prima serata dedicata alla creatività al femminile, all’interno della rassegna estiva “VAPORE D’ESTATE“.

DANZA D’AUTORE IN 3D – Tre performance di tre importanti coreografe:

EMANUELA TAGLIAVIA | Hopper Variations (prima nazionale)
NICOLETTA CABASSI | Tanz eines fahrenden gesellen (prima regionale)
CRISTINA RIZZO | Water Dance (new road) (prima regionale)