GLITTER | RESIDENZA “A” ATUTTOTONDO DANZA 4/8 luglio ’22

RESIDENZA A | Vigonza, 8 luglio 2022

Glitter: uno studio su come far brillare la fragilità

Glitter, primo progetto selezionato per la seconda edizione di ATUTTOTONDODANZA 2022. Una settimana di residenza creativa per artisti che mira a supportare giovani coreografi ed interpreti nella realizzazione di nuove opere coreografiche. Capofila del progetto Padova Danza, in collaborazione con La Sfera Danza Festival Internazionale di Danza e con il patrocinio e il contributo del Comune di Vigonza, al fine di creare connessioni con gli spazi del Teatro Quirino De Giorgio e con quelli meno convenzionali del Borgo Storico.

Abbiamo incontrato le artiste selezionate, tre giovani donne classe 1996, accomunate da questa nuova residenza sulla fragilità, e su come questa intersechi le loro biografie attraverso il corpo. Voce coreografica è quella dell’emiliana Giorgia Lolli, insieme alla performer thienese Vittoria Caneva, compagna di precedenti collaborazioni, ed il recente incontro con l’ucraina Hanna Kushnirenko, artista visiva e performer.

Come nasce la collaborazione tra Giorgia, Vittora ed Hanna?

G.        Quando è uscito il bando desideravo esperire la creazione di un solo, non per me ma per Vittoria.

V.         Io avevo conosciuto in questi mesi Hanna a Bassano. Ci siamo trovate tutte e tre a Lugano dove i fili si sono intrecciati.

Da dove arriva il titolo (provvisorio) Glitter?

G.        Ultimamente mi sono interessata a quest’idea di cose rotte, ma non volevo fosse un progetto triste. Nell’arte del kitzugi le cose rotte vengono riparate con colate d’oro. Mi piace lavorare per immagini, così ho pensato a cose che brillano anche se sono tutte un po’ in frantumi. Risplendere è un modo per far vivere un corpo. Non so ancora il vero significato del titolo, lo scopriremo al termine di questa esperienza.

Cosa c’è di rotto che va rimesso insieme?

G.        A volte concetti molti emotivi sono faticosi da verbalizzare. Non volevo che la fragilità mi conducesse alle singole situazioni personali, ma verso ciò che accomuna tutte e tre, e tutti noi, cioè il corpo. Anche lì c’è qualcosa da aggiustare, ma magari si può riparare con il lavoro insieme.

V.         Non so cosa sia rotto e cosa ci sia da aggiustare, ma come tutti ho una mia idea di cosa sia la fragilità. Nel processo, per me si apre la possibilità di cedere al pathos più assoluto, come no.

H.        Sono venuta qui per lasciare andare la parte emozionale che c’è nel corpo. Tutto può essere fragile, ma anche solido. Non c’è confine. Osservavo una ragnatela, luccicante, che resisteva al vento e alla pioggia. Ed io con una mano potevo distruggerla in un momento. Sono arrivata qui a causa della guerra. Si sono rotte molte cose che consideravo stabili, ma senza queste cose rotte non sarei qui.

Questo progetto ha un Manifesto che si conclude con una citazione di Adrienne Marie Brown sui piaceri di essere donna.

G.        Sì, nel mio lavoro mi interrogo su questi piaceri speciali. Non li cerco, ma emergono. Evidenziare le relazioni tra le donne, con le loro reti di supporto e di cura, è una scelta che sto portando avanti, un atto politico. Siamo corpi in uno spazio esposto davanti a molte persone. Che tipo di rapporti si instaurano e quali dinamiche di potere?

V.         Essere donne è anche condividere un percorso di studio e di lavoro. Non se ne parla direttamente, ma è intrinseco nella pratica attraverso i dialoghi e le dinamiche. Questo è l’empowerment, il potere, il carisma che emerge con tutte le peculiarità del caso. É sufficiente il solo esistere.

Questo terzetto femminile si è trovato a lavorare insieme per la prima volta qui a Vigonza. Che tipo di dinamiche di collaborazione siete riuscite ad instaurare?

G.        Sta nascendo una co-creazione dove io dò la direzione. Mi piace pensare che la danza abbia questo potenziale di creare “room for more”, spazi di autonomia per le persone che sono sul palcoscenico. Per la prima volta io non sarò in scena, ma si svolgeranno due soli, due processi per due persone diverse con background diversi. E questa diversità mi interessa moltissimo.

V.         Giorgia lavora su un piano molto paritario. C’è una direzione ma anche uno spazio dove far emergere le proprie visioni, opinioni o idee. Hanna è un’artista visiva, ha uno sguardo prospettico. É estremamente affascinante osservare il dialogo tra questa commistione di sguardi. È come benzina e scintilla che si incontrano.

Qual è stato il primo passo di avvicinamento?

G.        Prima della residenza ho chiesto loro di osservare il significato di alcune parole, come “fragilità”, “discontinuità”, “equilibrio” o “glitter”, nella loro vita. La raccolta poteva essere in forma libera, ma abbiamo tutte scelto un processo fisico. Io ho radunato della paccottiglia e l’ho lasciata sul palco. Hanna, con il suo stato di presenza, l’ha trasformata in un viaggio onirico.

H.        Oltre ad una performer sono anche una fotografa e mi piace tenere la mente impegnata con i piccoli dettagli. Non so il motivo, ma trovo le cose fragili, o rotte, bellissime. Quando indirizzi la luce su un vetro rotto, esso brilla. Illuminando si dà una seconda vita, una seconda possibilità.

Il progetto di residenza ATUTTOTONDO DANZA, oltre alla restituzione scenica finale, prevede anche un’incursione al mercato. Come vi state relazionando con questi nuovi spazi?

G.        Abbiamo scelto di cominciare in teatro per proteggere la fragilità di questo lavoro che è agli inizi, come un piccolo embrione. Il giorno dell’incursione vorrei mettere però in difficoltà questo materiale. Porteremo all’esterno alcune pratiche che stiamo curando in questo spazio chiuso per vedere cosa succede, se incontrano il rumore della vita vera. Ballerò anch’io, anche se non la vedo come una performance, ma come un esercizio di attenzione dove riuscire anche a divertirsi e godere della pratica senza diventare vittime del proprio lavoro.

Quanto influisce lo spettatore nella performance?

G.        Ho in mente lo spettatore dal primo momento in cui comincio a scrivere in camera mia. Mi piace la dimensione “voyeur” del teatro in cui si riesce a sbirciare dalla serratura un mondo a parte. E mi interessa molto la dimensione dello sguardo dello spettatore sia come punto di vista che come esperienza. Cerco di lasciare anche in questo caso uno spazio di autonomia: lasciare allo spettatore la possibilità di farsi un viaggio all’interno del percorso e ripercorrere il processo creativo. Quali sono le aspettative di chi arriva? Le assecondo o meno? Coreografare è anche capire come posso giocare, creando fili e ganci, tra spettatore e performer. La creazione per me è proprio ciò che succede lì in mezzo. Nella dimensione del solo c’è molto gioco di potere tra spettatore e performer e trovo speciale questa negoziazione continua.

V         Lo sguardo di Giorgia è più sullo spettatore, sullo sguardo di chi osserva, che su quello che accade in scena. È un lavoro tra chi sta osservando e chi sta praticando per creare un’altra dimensione. Da cui l’importanza a livello sociale e politico dell’arte in sé.

In queste cinque giornate di sperimentazione venite affiancate da alcune attività di tutoraggio. Che apporto stanno dando al progetto?

G.        L’incontro con Cristina Palumbo è stato necessario, ci è servito per capire questo posto. Vedremo come inconsciamente entrerà, in un lavoro che parla di fragilità e di collaborazione tra donne, un luogo pensato all’interno di un’ideologia fascista per l’uomo e le grandi imprese. Parlare poi di drammaturgia con Alessia Prati è stato un sostegno sui modi, i metodi di lavoro e le pratiche che abbiamo messo in gioco nel processo di ricerca. Con la coreografa Nicoletta Cabassi, invece, penso di confrontarmi più sull’aspetto di costruzione delle partiture di movimento.

L’anima fotografica di Hanna interagirà con il light designer Giacomo Casadei?

H.        Sul palco mi limiterò a giocare con la luce. Non ho mai fatto le luci per la scena. Nei miei servizi fotografici amo però lavorare con i riflessi, con ciò che brilla. E quando giochi con la luce puoi rendere vivo o morto tutto ciò. Come performer mi interrogo poi su come posso incorporare questo stato nelle nostre ossa, nella nostra pelle, nel corpo spirituale e in quello collettivo.

dal Manifesto:
GLITTER IS A REFLECTION
We gather. We – friends, women, lovers, dancing bodies.

intervista a cura di Lara Crippa